Oggi titolo frizzantino, eh?
Che l’empatia non sia una buona guida morale è una delle idee principali di un libro che ho appena finito di leggere: Against Empathy, o Contro l’empatia, dello psicologo Paul Bloom. Ed è un’idea, a mio avviso, non abbastanza diffusa. Con questo post voglio fare la mia piccola parte nel diffonderla.
Non parlerò del libro in generale. (Puoi leggere una recensione scritta dal buon Corrado di Perché proprio la Filosofia? qui.) Invece, voglio sintetizzare brevemente il perché non dobbiamo basarci sull’empatia quando decidiamo cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Diamoci dentro.
Di che empatia parliamo?
Mettiamo subito le cose in chiaro. Spesso si usa “empatia” in senso ampio, per indicare gentilezza, bontà e virtù. Ma non è questo di cui parliamo oggi.
Restringendo il campo, possiamo distinguere tra empatia cognitiva, cioè capire cosa prova un’altra persona, ed empatia emotiva, cioè provare cosa prova un’altra persona. La prima è quella che ci permette di decifrare cosa passa nelle teste altrui, capacità fondamentale per navigare il mondo sociale. La seconda è quella che ci permette di metterci nei panni degli altri, e fare esperienza delle loro emozioni.
A ricevere le critiche di Bloom è quest’ultima: l’empatia emotiva.
“Ma come?”, potresti pensare. “Fare esperienza della gioia e del dolore altrui è chiaramente un’ottima cosa. Questa capacità ci motiva ad aiutare gli altri e a non fare loro del male, dato che così facendo stiamo meglio anche noi. L’empatia è una forza per il bene nel mondo.”
Beh, le cose sono un po’ più complicate di così.
Perché l’empatia non è una buona guida morale?
Bloom paragona l’empatia a un faretto. Può certamente illuminare la sofferenza altrui, rendendo i loro problemi più salienti e motivandoci ad aiutare. Ma la luce che emette è un cono stretto e concentrato; non illumina tutto ciò che c’è da vedere.
L’empatia è ingiusta
C’è un’organizzazione non-profit, Quality Life Foundation, che rende più confortevoli gli ultimi anni di vita di bambini malati terminali. Sheri Summers, una bambina di 10 anni, soffre di una dolorosa malattia terminale. Le piacerebbe molto ricevere i servizi della Quality Life Foundation; purtroppo però, la lista di attesa è lunga.
Hai la possibilità di compilare una richiesta speciale per far avanzare Sheri nella lista d'attesa. Se la richiesta viene accettata, altri bambini – in condizioni peggiori, e quindi con maggior priorità – dovranno aspettare più a lungo prima di ottenere le cure.
Cosa fai?
Davvero, pensaci un attimo.
.
.
.
Questa situazione ipotetica è stata presentata a due gruppi di persone. Prima di ascoltare un’intervista a Sheri, il primo gruppo è stato incoraggiato a rimanere oggettivo; il secondo, a empatizzare con la bambina e percepire l’impatto che la malattia ha avuto su di lei.
Il risultato? Solo un terzo del primo gruppo avrebbe spostato Sheri in cima alla lista di attesa. Nel secondo gruppo, invece, tre quarti delle persone lo avrebbero fatto.
Il faretto dell’empatia illumina Sheri, ma lascia gli altri bambini nell’ombra.
L’empatia è matematicamente inetta
C'è un bambino, attualmente in un centro medico, la cui vita è in pericolo. Recentemente, è stato sviluppato un nuovo farmaco per curare la sua malattia. Purtroppo, questo farmaco è estremamente costoso e, a meno che non si raccolga presto una somma di 300.000 €, il bambino morirà.
Hai la possibilità di contribuire con una donazione di qualsiasi ammontare. Quanto doni?
.
.
.
Ora, invece di un solo bambino, immagina che ce ne siano otto. Quanto doni?
.
.
.
Questa situazione è stata presentata a quattro gruppi di persone. Al primo gruppo è stato chiesto quanto donerebbero per aiutare un bambino; al secondo, per aiutarne otto. Il secondo gruppo, in media, ha donato un po’ – anche se non molto – di più.
E fin qua tutto bene.
Al terzo e quarto gruppo sono state presentate le stesse situazioni; ma questa volta, i ricercatori hanno identificato i bambini con i loro nomi e con delle foto. La donazione media del terzo gruppo (singolo bambino identificato) è stata più del doppio di quella del quarto gruppo (8 bambini identificati), e maggiore di quelle dei primi due gruppi.
Bloom scrive:
Se la nostra preoccupazione è guidata dal pensiero della sofferenza di individui specifici, si crea una situazione perversa in cui la sofferenza di uno può essere più importante della sofferenza di mille. [...]
Immagina di leggere che duecento persone sono appena morte in un terremoto in un paese lontano. Come ti senti? Ora immagina di aver appena scoperto che il numero reale di morti era di duemila. Ti senti dieci volte peggio? Ti senti almeno un po’ peggio?
Ne dubito. In effetti, un singolo individuo può essere più importante di cento, perché un singolo individuo può evocare sentimenti in un modo che una moltitudine non può fare.1
Il faretto dell’empatia non è abbastanza ampio da illuminare tante persone contemporaneamente.
L’empatia è parziale
Quanta empatia proviamo verso qualcuno dipende anche da chi è quel qualcuno: uno di noi o uno di loro?
Uno studio ha testato questo effetto tra tifosi di squadre di calcio diverse. I soggetti guardavano altri tifosi – della loro squadra o di un’altra – ricevere delle scosse elettriche. Quando a ricevere la scossa era un membro dell’ingroup2, la risposta neurale empatica era maggiore di quando lo sfortunato era un membro dell’outgroup.
Bloom scrive:
È molto più facile empatizzare con qualcuno che è simile a noi, o con qualcuno che è stato gentile con noi in passato, o con qualcuno che amiamo, e per questo motivo, è più probabile che tu aiuti questi individui. Gli stessi bias empatici che si manifestano nei laboratori di neuroscienze ci influenzano nelle interazioni quotidiane.3
Il faretto dell’empatia illumina solo le persone verso cui lo punti.
L’empatia è miope
L’empatia può essere un ottimo motivatore per aiutare nell’immediato chi è di fronte a noi, ma tende a ignorare le più ampie conseguenze delle nostre azioni.
Bloom cita vari esempi. L’invio di aiuti alimentari in Paesi poveri può ridurre gli incentivi per uno sviluppo economico e sociale a lungo termine. Dare qualche soldo a un bambino che chiede la carità può finanziare l’organizzazione criminale che lo schiavizza. Opporsi a una politica che ha qualche vittima identificabile può imporre costi di gran lunga maggiori che però – essendo magari più astratti – non attivano l’empatia.
Il faretto dell’empatia illumina solo specifiche persone, non le persone statistiche su cui le conseguenze delle nostre azioni cadranno in futuro.
L’alternativa
Bloom non è contrario all’empatia in generale. Non è che dovremmo eliminarla dal cervello umano, se potessimo. L’empatia ha molti aspetti positivi in vari domini della nostra esistenza.
Non, però, in quello etico.
Come alternativa, Bloom difende la compassione razionale come guida morale. Compassione, nel senso di dare valore agli altri e avere a cuore il loro benessere – senza però dover necessariamente sentire il loro dolore. Razionale, nel senso di riflettere criticamente su come aiutare il prossimo, analizzando costi e benefici delle nostre azioni.
Inutile dire che, da entusiasta dell’altruismo efficace quale sono, Bloom mi trova d’accordo4.
Traduzione mia di un passaggio del terzo capitolo di Against Empathy. Avendolo letto dal Kindle, non so la pagina.
Da Wikipedia:
In sociologia e psicologia sociale, un ingroup è un gruppo sociale con cui una persona si identifica psicologicamente come membro. Per contro, un out-group è un gruppo sociale con cui un individuo non si identifica. Le persone possono ad esempio identificarsi con il gruppo dei pari, la famiglia, la comunità, la squadra sportiva, il partito politico, il genere, l'orientamento sessuale, la religione o la nazione.
Vedi nota 1.
Bloom stesso cita l’altruismo efficace:
Ho sostenuto che essere una brava persona implica una qualche combinazione di avere a cuore gli altri — il desiderio di alleviare le sofferenze e rendere il mondo un posto migliore — e una valutazione razionale del modo migliore per farlo. Pare che esista un progetto che si concentra proprio su questo, chiamato "Altruismo Efficace" o EA. Gli Altruisti Efficaci si definiscono come: "un movimento sociale in crescita che unisce cuore e testa". È un buon motto. Il cuore è necessario per motivare a fare del bene; la testa è l'intelligenza per capire come realizzare al meglio questa bontà.
Ciao Luca,
sono molto contento ti sia piaciuto il testo e che condividi ciò che Bloom crede.
Io nutro qualche piccolo dubbio riguardo le distinzioni “nette” che lui vede tra empatia, compassione e compassione razionale ma sposo il 99% di ciò che dice.
Mi trovo spesso in difficoltà quando parlo con persone che, cristianamente a mio avviso, adorano il concetto di empatia e non si scostano nemmeno di fronte alla più dura delle argomentazioni. Un riferimento diretto, in questo, è il mondo del lavoro contemporaneo, soprattutto corporate, in cui vige la nuova legge dell'Empathy e, sinceramente, anche dopo aver letto il cofanetto dell'HBR riguardo l'Emotional Intelligence, dove c'è anche un testo dedicato all'Empathy, non ne capisco il motivo. (https://store.hbr.org/product/hbr-emotional-intelligence-ultimate-boxed-set-14-books-hbr-emotional-intelligence-series/10377).
Comunque, bell'articolo come al solito.
Buon fine settimana e a presto.