Perché ho rinunciato al 10% di tutto quello che guadagnerò
Beneficenza, Giving What We Can, e vivere una vita più etica.
I
Sei in stazione, aspettando la metropolitana. Magari stai rileggendo gli appunti per l’ultima volta prima di un esame, o forse ascolti distrattamente un podcast.
Accanto a te, un ragazzo ha improvvisamente una crisi epilettica. Succede tutto in un istante: in preda alle convulsioni, si inciampa e cade sui binari. Ti giri di scatto, e vedi le luci del treno avvicinarsi troppo, troppo in fretta; ti guardi quindi intorno, il cuore in gola, ma nessuno accenna un passo. Non c’è più tempo: hai l’ultima occasione per provare a salvare il ragazzo.
Cosa fai?
Wesley Autrey si è lanciato. Ha pensato di fare in tempo a portare il ragazzo al sicuro, ma si sbagliava. Si è quindi gettato su di lui, costringendolo a sdraiarsi mentre il treno passava pochi centimetri sopra le loro teste.
Due giorni dopo, il sindaco di New York lo ha premiato con il più alto riconoscimento della città, affermando che il suo coraggio “è un'ispirazione non solo per i newyorkesi, ma per il mondo intero.”
Immagina di essere Autrey. Immagina quanto significativo è stato il momento in cui hai salvato la vita di un’altra persona. Davvero: chiudi gli occhi, fai un bel respiro, e prova a percepirlo.
Ora, immagina che 2 anni dopo l’incidente ti trovi davanti a un edificio in fiamme. Senti delle urla provenire dall'interno e ti precipiti dentro, facendoti strada tra il fuoco e il fumo. Miracolosamente, riesci a portare in salvo una bambina che era svenuta per la mancanza di ossigeno.
2 anni dopo, stessa storia. Magari questa volta si tratta di spingere una persona distratta fuori dalla traiettoria di una macchina in arrivo, o magari di donare un rene a uno sconosciuto che ne ha disperatamente bisogno.
2 anni dopo, ancora; e poi di nuovo. Avanti così per 40 anni, durante i quali salvi la vita a 20 persone diverse.
Riguardando indietro a una vita simile, cosa penseresti? Che immagine avresti di te? Di nuovo: chiudi gli occhi, fai un respiro profondo, e prova a immaginarlo.
Personalmente, mi piace pensare di essere il tipo di persona che si lancerebbe sui binari. Mi piace pensare di essere il tipo di persona che, di fronte a una scelta del genere, deciderebbe di rischiare la sua stessa vita per salvarne un’altra.
Onestamente però, non credo di esserlo. Forse è una di quelle cose che scopri solo se ti trovi in una situazione estrema, ma di certo ho seri dubbi sulla mia temerarietà.
Ma se ci fosse il modo di ottenere lo stesso risultato – salvare decine di vite – senza dover mettere in pericolo la mia?
II
Proviamo un altro esperimento mentale. Immagina di dover scegliere tra:
Guadagnare abbastanza per vivere dignitosamente, toglierti qualche piccolo sfizio, e mettere da parte qualcosa per il futuro; in più, salvare la vita a 20 persone.
Guadagnare circa l’11% in più – cosa che ti permetterebbe di cenare fuori un po’ più spesso, o farti le vacanze in hotel un po’ più lussuosi – al prezzo, però, di lasciar morire le persone che avresti potuto aiutare.
L’opzione 1 mi sembra straordinaria. Vorrebbe dire vivere la vita su cui abbiamo fantasticato fino a un attimo fa, ma senza dover lanciarsi sui binari della metro. Senza dover correre dentro edifici in fiamme. L’unico prezzo è rinunciare a un po’ di soldi in più, e nemmeno così tanti.
“Va bene Luca”, potresti pensare, “interessanti questi esperimenti mentali, ma la realtà è un’altra: nessuno mi offrirà mai queste opzioni, no?” E invece sì. Questa non è una situazione ipotetica: è una scelta che, esplicitamente o meno, tutti noi facciamo.
Secondo GiveWell, una nonprofit dedicata all’analisi costi-efficacia di altri enti di beneficenza, una delle migliori opportunità per fare del bene è donare all’Against Malaria Foundation (AMF). Quest’organizzazione distribuisce delle zanzariere impregnate d’insetticida in zone dove la malaria ancora non è stata eradicata. Ogni rete protegge in media 2 persone per 3-4 anni, permettendo loro di dormire al sicuro dalle zanzare infette.
GiveWell stima che, in media, poco più di €5000 donati all’AMF prevengono una morte dalla malaria. Quindi, una persona che guadagna €2000 al mese può, donando il 10% di quella cifra, salvare una vita ogni circa 2 anni. Nel corso di una carriera lavorativa di 40 anni, questo equivale a salvare la vita a circa 20 persone. Notevole.
Così come mi piace pensare di essere il tipo di persona che si lancerebbe sui binari, mi piace anche pensare di essere il tipo di persona che rinuncerebbe a qualche soldo in più, se questo fosse letteralmente questione di vita o di morte per qualcun altro.
Fortunatamente, essere il secondo tipo di persona è molto più facile, e molto meno pericoloso, di essere il primo.
III
In un articolo di qualche settimana fa, ho parlato di come la maggior parte delle persone nei paesi sviluppati può contribuire a rendere il mondo un posto migliore donando parte dei propri guadagni. Ho scritto:
Toby Ord, oggi filosofo morale a Oxford, ha iniziato a riflettere su questa possibilità da studente, dopo aver letto alcuni scritti del filosofo australiano Peter Singer. Rendendosi conto della sua posizione privilegiata, Ord iniziò a pensare: «se davvero ho molto di più degli altri, e altre persone potrebbero ottenere molto più valore da questi soldi di me, allora forse dovrei fare di più per aiutare».
Nel 2009, Toby Ord, sua moglie e il suo collega Will MacAskill fondarono Giving What We Can (GWWC). I membri di quest’organizzazione firmano la Pledge to Give, una promessa di donare almeno il 10% dei propri guadagni a enti di beneficenza che possono migliorare la vita altrui nel modo più efficace possibile. Per studenti e studentesse, la percentuale è ridotta all’1%, escludendo le tasse universitarie, ed esiste anche la Trial Pledge, la cui durata e percentuale possono essere scelte individualmente.
Dopo più di 13 anni, la comunità di GWWC conta più di 9000 persone che hanno già donato 300 milioni di dollari, e promesso di donare 10 volte tanto in futuro. Tra i membri troviamo figure prominenti – come lo stesso Peter Singer, il premio Nobel per l’economia Michael Kremer, e l’autore, filosofo e neuroscienziato Sam Harris – e persone comuni.
Dal 22 gennaio, tra quelle persone comuni ci sono anche io.
Ho firmato la Pledge to Give perché sono incredibilmente ricco, relativamente agli standard globali. E cosa ho fatto per meritarmi la mia bella vita? Sono nato in un paese sviluppato. Wow.
(A questo link puoi confrontare la tua ricchezza con quella della popolazione globale – credo possa essere un esercizio utile per molte persone.)
Questa posizione mi dà l’opportunità di migliorare notevolmente la vita altrui a un prezzo minimo. In Doing Good Better, MacAskill afferma che la stessa quantità di denaro può aumentare il benessere delle persone più povere del mondo circa 100 volte in più di quanto possa migliorare la vita del lavoratore tipico in un paese sviluppato.
Immagina un bar dove puoi comprare una birra per te a 5 euro e una birra per qualcun altro a 5 centesimi. In un posto simile, non offriresti da bere?
Ma non avrei potuto semplicemente donare e basta? Perché firmare la Pledge?
Nello stesso articolo, ho scritto:
Rispetto a donare e basta, impegnarsi pubblicamente a farlo permette di avere ancora più impatto. In primo luogo, firmare la Pledge rende psicologicamente più facile continuare a donare in futuro: non si tratta più solo di beneficenza, ma di mantenere una promessa. Inoltre, entrare a far parte di una comunità di persone che si supportano a vicenda per rendere il mondo un posto migliore può essere estremamente motivante.
Infine, il nostro comportamento ha una grande influenza su quello altrui, e viceversa: è più probabile che ci comporteremo altruisticamente se sappiamo che chi ci circonda già lo fa. Chiedendo ai suoi membri d’impegnarsi pubblicamente a donare, GWWC punta a normalizzare una cultura del dono, così che sempre più persone siano incoraggiate a utilizzare parte delle proprie risorse per fare la differenza.
E perché scrivere un post a riguardo?
Quest’ultima è anche la ragione per la quale sto scrivendo apertamente di questa mia decisione. Facendolo, spero di fare la mia piccola parte nel normalizzare l’effective giving, e magari ispirare qualche altra persona a seguire i miei passi.
Viviamo in una società in cui la beneficenza, se non anonima, è spesso vista con sospetto. Magari il donatore non è mosso solamente da motivazioni puramente altruistiche: magari sta donando solo per farsi figo o sentirsi importante. Il Vero Altruista™ deve invece donare lontano da occhi e orecchie altrui.
Questo è un problema, però. Non viviamo in un mondo di Veri Altruisti™, e le nostre donazioni possono migliorare il mondo anche se dietro non ci sono solo motivazioni puramente altruistiche. Secondo questo articolo:
A parità di condizioni, è meglio avere un grande impatto con intenzioni miste che un piccolo impatto con intenzioni puramente altruistiche.
Ho quindi deciso di non seguire la norma sociale di donare anonimamente. Forse parte di me vuole farsi figa; forse parte di me vuole sentirsi importante; forse non sono un Vero Altruista™? Può darsi, ma non ha importanza. L’importante è che così facendo posso avere un impatto sociale maggiore, migliorando la vita a più persone.
IV
Ho iniziato questo post parlando dell’enorme opportunità che abbiamo di fare la differenza – prospettiva cara anche a Toby Ord, uno dei fondatori di Giving What We Can. La giornalista Larissa MacFarquhar, nel suo libro Strangers drowning, racconta infatti che:
Quando Toby parlava delle sue idee in pubblico, cercava di evitare di fare leva sul senso di colpa [...] Diceva invece alla gente che donare soldi è un'emozionante opportunità.”Guardiamo persone come Oskar Schindler, che ha salvato circa milleduecento vite, e pensiamo: è un esempio incredibile di eroismo morale. Ma potremmo fare meno sacrifici di lui e salvare più vite se volessimo!”
Penso che questa sia una prospettiva utile e motivante, ma non è quella che mi ha convinto a firmare la Pledge To Give.
Il primo seme, poi germogliato in questa decisione, venne piantato nella mia testa tre o quattro anni fa. Avevo scoperto da poco gli audiolibri, ma, non volendo spendere per un abbonamento Audible, mi accontentavo di quelli che trovavo su YouTube (principalmente self-help fatto male). Un giorno, l’algoritmo mi consigliò The Life You Can Save (TLYCS) di Peter Singer, considerato il filosofo vivente più influente al mondo, e la semina ebbe inizio.
In quel libro, Singer afferma che il luogo dove una persona si trova – la sua distanza geografica da te – è moralmente irrilevante. Un essere umano in Italia non ha più importanza di un essere umano in Nuova Zelanda, solo perché più vicino.
Ogni persona che prende seriamente l’idea di uguaglianza tra gli esseri umani dovrebbe trovare quest’idea incontroversa, se non banale – ma le sue implicazioni sono tutt’altro che banali. Per capire perché, voglio proporti un altro esperimento mentale (giuro che per oggi è l’utimo!), tratto dalla versione breve di TLYCS tradotta in italiano:
Stai passando davanti a un piccolo stagno e vedi una bambina che si dimena nell’acqua poco profonda. Non riesce a tenere la testa fuori dall’acqua e, per di più, lo fa solo qualche secondo alla volta. Se non intervieni tirandola fuori dall’acqua, quasi certamente annegherà. Lo stagno è poco profondo ed entrarci non ti farà correre alcun rischio, ma rovinerai le tue scarpe costose, i tuoi vestiti si sporcheranno di fango e non avrai il tempo di andare a casa a cambiarti prima di andare al lavoro.
Cosa fai? Salvi la bambina o fai finta di nulla?
Per la maggior parte delle persone, la risposta è ovvia: la vita della bambina è più importante delle nostre scarpe e vestiti. Ignorare il problema è impensabile, se non abominevole, e molti direbbero che abbiamo un obbligo morale di salvare la bambina.
Ma se effettivamente la distanza di una persona che ha bisogno d’aiuto non è moralmente rilevante, che dire dei milioni di bambini che muoiono ogni anno per cause facilmente prevenibili o curabili? Che dire delle centinaia di milioni di persone che vivono in condizioni di povertà estrema?
Se abbiamo un obbligo morale di salvare la bambina nello stagno, sembra difficile affermare che lo stesso obbligo non si estenda anche a persone nei paesi in via di sviluppo. La situazione è equivalente, dato che possiamo facilmente migliorare o salvare loro la vita a un prezzo relativamente basso, come abbiamo già visto nella sezione II.
Ora, non sono certo dell’esistenza di obblighi morali. La metaetica è un mondo complesso che non ho ancora esplorato quanto vorrei, ma che sicuramente approfondirò in futuro.
Sono però certo che salverei e vorrei salvare la bambina nello stagno (e trovo plausibile che dovrei salvarla), e sono convinto che la distanza geografica non sia moralmente rilevante. Trovo quindi convincente il principio proposto da Singer nel suo articolo Famine, Affluence, and Morality:
Se è in nostro potere prevenire qualcosa di brutto dall’accadere, senza sacrificare così nulla di comparabile importanza morale, dovremmo, moralmente, farlo.
Prendere seriamente questo principio, però, ribalterebbe completamente le nostre vite. Ho deciso di donare il 10% dei miei guadagni, ma perché fermarmi lì? Dopotutto, molte delle mie spese continueranno a essere lussi, non necessità. Non ho davvero bisogno di spendere €20 euro per un sushi, e mangiando qualcosa di più economico potrei donare ciò che risparmio a qualcuno che ne ha molto più bisogno.
L’unico punto non arbitrario in cui fermarsi è quello in cui donare di più causerebbe a me la stessa sofferenza che prevenirebbe a qualcun altro. In pratica, dovrei dare via quasi tutto. Se devo essere sincero, però, la prospettiva non mi entusiasma.
È importante ricordare che la maggior parte di noi sono esseri umani, e non santi o Veri Altruisti™. Se ci imponessimo uno standard così alto, finiremmo per non fare nulla. Sempre da TLYCS:
Potrebbe essere impossibile vivere una vita completamente etica: ciò potrebbe infatti comportare di non ordinare mai più cibo da asporto o di non fare più un acquisto etichettabile come un lusso. Ma piuttosto che scoraggiarsi di fronte a questo timore, vorremmo incoraggiarti a fissare un alto standard morale come un modo per spingerti a fare di più, piuttosto che trasformandolo in una scusa per non fare nulla.
Per ottenere conseguenze migliori, è utile trovare un punto arbitrario tra il non donare nulla e il donare tutto, e il 10% sembra una buona opzione. Magari in futuro deciderò di donare qualcosa di più, o magari no. In ogni caso, penso che firmare la Pledge To Give sia un ottimo passo verso vivere una vita più etica, e sono felice di averlo fatto.
Ci sarebbe un’altra considerazione cruciale da fare: una volta deciso di donare, è importante farlo in modo intelligente ed efficace. Ma questo è un argomento per un post futuro. Se però vuoi approfondire subito, penso che la versione breve di TLYCS in italiano sia un ottimo punto di partenza – la trovi qui!